Dal punto di vista nutrizionale le carni che rientrano nella definizione di bianca sono: pollo, tacchino e coniglio. Maiale e vitello, che in alcuni libri di cucina sono definiti come carni rosate, appartengono alla classificazione delle carni rosse. Il coniglio, pur non appartenendo alla classe dei volatili, ha una composizione molto simile a pollo e tacchino. Infine in nutrizione quando si parla di carni bianche, si fa riferimento a quelle fresche. Salumi, insaccati o trasformati sono considerati delle carni lavorate, per le quali l’indicazione a livello mondiale è di limitarne il più possibile il consumo.
La carne bianca è un’ottima fonte di proteine e presenta un contenuto lipidico inferiore rispetto ad alcuni tagli della rossa. Il coniglio si classifica al primo posto, con il contenuto minore, a seguire tacchino e pollo. Il grasso nei volatili è concentrato maggiormente nella pelle. Pertanto, per ridurne la quantità, si consiglia di eliminarla al momento del consumo.
Il ferro è presente in ridotte quantità nelle carni bianche rispetto a quelle rosse. All’interno della carne è presente la forma di ferro maggiormente assorbibile a livello intestinale. Tuttavia, circa il 60% del ferro contenuto nelle carni bianche è rappresentato da quello non-eme, ossia la forma meno biodisponibile. Un trucco per aumentarne la disponibilità, è quello di condire ad esempio insalate di pollo o di tacchino con fonti di vitamina C come succo e scorza di limone, arancio o del peperoncino fresco tagliato finemente aggiunto a crudo. Tra i minerali, nelle carni bianche sono presenti in buone quantità potassio, zinco e selenio.
La carne infine è una buona fonte di vitamine del gruppo B. Una porzione di pollo, tacchino o coniglio copre circa il 30% del fabbisogno giornaliero di niacina, vitamina coinvolta nella formazione di coenzimi necessari per il metabolismo di carboidrati, proteine e lipidi. La vitamina B12 è presente in tracce nella carne di pollo e tacchino mentre è abbondante in quella di coniglio.
Negli ultimi anni, in commercio, si è assistito ad un notevole aumento delle carni bianche lavorate. Sotto questa definizione rientrano, come per le carni rosse lavorate, sia i prodotti derivati dal taglio di un pezzo anatomico unico dell’animale (salumi), sia quelli derivati dalla macinazione della carne (insaccati), ad esempio i wurstel.
La distinzione tra carne lavorata rossa e bianca è fatta, quindi, sulla base dell’animale da cui deriva il prodotto stesso: generalmente maiale per le prime e pollo o tacchino per le seconde.
Le carni bianche lavorate presenti sul mercato sono soprattutto gli affettati di pollo e di tacchino. Sono fonte di proteine, dal profilo amminoacidico completo di tutti gli aminoacidi essenziali. Se confrontate con le carni rosse lavorate, i grassi sono poco presenti e l’apporto energetico è inferiore (circa 100 kcal per 100 g nelle carni bianche contro circa 200 kcal per 100 g in quelle rosse lavorate). Negli insaccati, invece, sono abbondanti i grassi e di conseguenza anche il contenuto energetico è maggiore.
La carne è generalmente conosciuta per essere un’ottima fonte di ferro, tuttavia, nelle carni bianche, sia fresche che lavorate, il suo contenuto è minore se confrontate con quelle rosse. Altri minerali presenti in discrete quantità sono potassio, zinco e selenio. Particolare attenzione è da rivolgere, invece, al contenuto di sodio, molto abbondante negli affettati e ancora di più negli insaccati. Tra le vitamine, infine, le maggiormente presenti sono quelle del gruppo B, in particolare la niacina (vitamina B3).
Le carni bianche lavorate, soprattutto gli affettati, sono percepite dalla popolazione generale come un’opzione più salutare rispetto alle rosse. Ad oggi, gli studi che indagano gli effetti di questa tipologia di carni lavorate sulla salute sono limitati, tuttavia, quelli svolti su ampi gruppi di persone hanno evidenziato un aumentato rischio di diabete di tipo 2 e, più in generale, di mortalità all’incrementare del consumo di carne bianca lavorata. I meccanismi alla base di queste relazioni non sono ancora chiari, ma si ipotizza che il contenuto di sale e di conservanti possa avere un ruolo importante.
Con la denominazione “carni rosse” si considerano: manzo, vitello, maiale, cavallo, capra, pecora e agnello. Dal punto di vista nutrizionale, carni rosse e lavorate appartengono a due diverse categorie. Nella prima rientrano quelle fresche mentre salumi, insaccati o altri trasformati appartengono alla seconda.
La composizione chimica della carne varia in funzione della specie e del tipo taglio. Tuttavia è possibile tracciare un profilo comune.
Sicuramente sono un’ottima fonte di proteine. Il loro valore biologico, vale a dire la presenza di aminoacidi essenziali nelle giuste proporzioni, è alto. Ciò non giustifica il grande consumo di carne, registrato soprattutto tra le popolazioni occidentali. Per soddisfare il fabbisogno proteico non è necessario introdurre la carne quotidianamente, sono infatti numerose le fonti da cui attingere. Legumi, pesce, frutta secca, uova e formaggi ne sono un esempio.
Uno dei principali motivi che deve spingere a limitarne il consumo è il contenuto di grassi. La composizione è prevalentemente satura. Pertanto la carne rossa, quando introdotta nella dieta in eccesso, può rappresentare un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari. Per di più, tanto maggiore è la componente lipidica e tanto maggiore sarà il potere calorico dell’alimento. Una porzione di manzo apporta circa la metà delle calorie rispetto ad una di agnello, carne più grassa. Tuttavia anche diversi tagli della stessa specie contribuiscono diversamente all’apporto energetico.
Che sia di manzo, di maiale o agnello la carne è fonte di ferro, per il 40% nella forma maggiormente biodisponibile (eme) per l’organismo. Pochi considerano la quota del 60% di ferro cosiddetto non-eme, poiché tipico degli alimenti vegetali. Questa forma ha un assorbimento ridotto rispetto al ferro eme. Per aumentarne la biodisponibilità è sufficiente condire con succo di limone, arancia o peperoncino fresco, o comunque consumare nello stesso pasto fonti di vitamina C.
Tra i minerali potassio, sodio, fosforo, zinco e selenio sono ben rappresentati. Mentre tra le vitamine, abbondano quelle del gruppo B. Una porzione, di alcuni tagli, può coprire quasi tutto il fabbisogno di vitamina B12, circa la metà di B6 e un terzo di niacina.
La carne rossa pertanto è un alimento che se assunto nelle giuste quantità rappresenta una buona fonte di nutrienti che contribuiscono alla tutela della salute, se in eccesso può aumentare il rischio di malattie. Le raccomandazioni suggeriscono un consumo complessivo di carne rossa inferiore a 500 grammi la settimana. In cucina è necessario porre l’attenzione alla cottura, poiché con le alte temperature si possono formare composti cancerogeni, ben individuabili nelle parti annerite della carne bruciacchiata. L’uso di olio di oliva e della marinatura sembra ridurne la produzione.
Entrando in un supermercato o in una macelleria il numero di prodotti che rientrano sotto la definizione di “carni lavorate” è notevole. Nascono per rispondere all’esigenza di mantenere più a lungo la materia prima, evitando così il precoce deterioramento da parte di microrganismi.
Per fare ordine tra la varietà di questi prodotti è necessario ricorrere alla suddivisione di carattere tecnologico.
Quando si parla di salumi ed insaccati ci si riferisce ai prodotti che derivano dal maiale. Tuttavia nella definizione di carni lavorate rientrano non solo altre specie animali che subiscono le stesse operazioni, come la fesa di tacchino o la bresaola, ma anche trasformati ottenuti con altri metodi di lavorazione, ad esempio la carne in scatola.
Nonostante la grande vastità di alimenti inclusi in questa categoria, gli effetti del loro consumo sulla salute sono molto simili tra di loro.
Sono una fonte di proteine e presentano tutti gli aminoacidi essenziali. I carboidrati sono assenti, come nella materia prima di partenza. Se presenti, sono contenuti in tracce nelle carni fermentate, poiché aggiunti per favorire il lavoro dei microrganismi. Contengono un’elevata quantità di grassi e la loro composizione vede, nella maggior parte dei prodotti, la prevalenza di saturi rispetto agli insaturi. Generalmente gli insaccati sono più ricchi di grassi, poiché ulteriormente aggiunti nella lavorazione.
Come nella carne fresca, tra i minerali sono presenti il ferro, il selenio e lo zinco. Le carni rosse lavorate, tuttavia, si caratterizzano per l’elevata quantità di sodio che può superare addirittura i 2 grammi ogni 100 di prodotto. Per convertire il contenuto di sodio nell’equivalente sale (cloruro di sodio), è necessario moltiplicare per 2,5. In questo caso, 2 grammi di sodio equivalgono a 5 grammi di sale (pari al limite giornaliero che non si dovrebbe superare secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità). Tale quantità è dovuta al sale aggiunto durante l’operazione di salatura, garantendo una maggiore conservabilità e sapidità del prodotto finito. Infine sono fonte di vitamine, principalmente del gruppo B.
Studi su grandi popolazioni, che valutavano le abitudini alimentari e l’insorgenza di malattie, hanno dimostrato come i soggetti che consumano maggiore quantità di carni rosse lavorate hanno un aumentato rischio di tumore del colon e malattie cardiovascolari. Ancora oggi non sono del tutto noti i meccanismi alla base di tale relazione, si ipotizza che i responsabili siano i grassi saturi, il sale e i conservanti.